Solo a Cortefighetta ritrovai le forze e fui in grado di riprendere in mano i miei appunti.
Cortefighetta è un nome usato dal PGM, il sindacato elfico più influente nella regione ove si incrociano il Po e la Dora. Il PGM ha istituito un tacito patto con la popolazione umana del luogo, e in cambio della sopravvivenza degli alberi, il PGM irrora di mana la città, anche se, secondo i canoni Whitewolf, si potrebbe forse parlare di glamour. Il mana causa, nella zona urbana, la proliferazione di aperitivi suntuosi ricchi di leccornie; infiorescenze continue di teatro, musica, arti; surrealità diffusa nelle conversazioni serali e notturne.
Il mana permea le mura della città e ne riverbera la bellezza, gli alberi crescono alti e ovunque c'è verde. Cortefighetta è il nome usato al sindacato per definire una comunità di umani ubriaca di glamour, ma questo lo scoprii molto tempo dopo.
Ma torniamo a quel novembre. Per andare oltre, in realtà, sarebbe necessario aver già detto: di come la lontra caccia in acqua; di come il procione ruba; del cuore del lobuglio minore. Dovrei aver già spiegato la composizione del Grande Schema Libero, con la quale ci liberammo poi per sempre dal Novembre Nero. Sarebbe necessario aver visto Quelli che Scuote il Vento, conoscere le cavità nascoste del tronco del grande albero, aver assistito al Volo dell'Elenco; aver visto il mattimatti suonare tamburi e chiamare il temporale. Sarebbe necessario tutto questo per iniziare non a capire, ma a percepire vagamente cosa renda pizzardo un Pizzardo.
Novembre diventò dicembre: i lobugli migrarono, il mattimatti entrò in stato semi-letargico. A primavera, la pelle del Formichiere Albino dei Pompelmi sarebbe tornata ancora più chiara, il suo pelo biondissimo quasi bianco.
Fu in quelle notti fredde e sole che il cinghiale e io, rimasti soli, fummo attaccati dai pornozombie. Le battaglie oniriche durarono fino alla fine dell'inverno, quando, grazie al Grande Schema Libero, la dimora dei Pizzardi venne restituita alla luce di Nabriolde. Tutto iniziò con il Rito del Piatto.
Una sera, tutti i Pizzardi erano riuniti intorno al tavolo: c'ero io, in mutande, pallido e con i postumi della sera prima, che mi ero alzato, come tutti, alle quattro e mezzo di pomeriggio, ora erano le sei ed era già buio senza che avessimo visto il sole. C'era il lobuglio maggiore, avvolto nel suo piumaggio invernale di plaid, che fissava il vuoto. Il mattimatti, silenzioso e tranquillo, mangiava lentamente un pompelmo nell'angolo, mentre Ozzacil, le setole tutte arruffate, sbatteva cucchiai di salsa di peperoncino piccante in un grande pentolone avvolto dal fuoco che sfrigolava e gettava lapilli di sugo ovunque.
Il lobuglio minore mi fissava sorridendo, come fanno i lobugli minori da sempre, vedendo in noi cose che solo loro possono. Prese improvvisamente la chitarra e iniziò ad arpeggiare una cover di De Gregori con un ritornello uguale alla sigla di Beverly Hills, e lentamente tutti iniziarono a bofonchiare i versi di quello che era l'Inno Pizzardo: le parole, coerentemente con gli individui della tribù, erano cangianti, la melodai stessa mutava di volta in volta, ma tutti e ognuno sapevano, all'istante, quali essere fossero in quella data e particolare circostanza.
Tutti si unirono al canto, tranne il lobuglio maggiore, che continuava a fissare il vuoto. Il cinghiale batteva con il mestolo sulla pentola mentre le nostre voci si alzavano, e le volatili del piano di sopra iniziavano a starnazzare.
D'un tratto, vidi il lobuglio maggiore prendere lentamente il piatto vuoto che aveva di fronte e serrare il possente becco. Poi si spostò dal tavolo e, con lo stesso sguardo fisso e distante, lasciò cadere il piatto.
Il suono del piatto che andava in frantumi fece ammutolire in un attimo la chitarra, il mestolo del cinghiale si bloccò a mezz'aria, il mattimatti rimase con un boccone di pompelmo in bocca, ma non masticò.
Tutti guardammo il pavimento, i mille frantumi, poi guardammo il lobuglio maggiore, che aveva lo sguardo ancora fisso nel vuoto, ma ora anche un sorriso dolce e triste.
Il lobuglio minore a quel punto si scosse, si alzò, posò la chitarra, aprì il frigorifero e iniziò a distribuire mozzarelle singole confezionate. Nessuno capì subito: il primo fu Ozzacil, che mirò al centro della parete della cucina e ci lanciò contro la mozzrella con tutta la rabbia, tanto che questa esplose lasciando una enorme chiazza bianca e bagnata. Di seguito, altre mozzarelle si abbatterono sul muro, e altri presero altri piatti e bicchiaeri e li guardarono frantumarsi, e spezzarono bastoni di scope. Mentre procedeva la distruzione della tana, che non comprendevo ma sembrava essere un rituale collettivo del quale come pizzardo comrpendevo benissimo lo scopo, ma che non potrei mai spiegare razionalmente: ben più di un semplice scongiuro, esorcismo o sfogo, i Pizzardi sembravano capaci di influenzare l'ambiente con una specie di feng-shui folle e incomprensibile, che tuttavia dava risultati innegabili. Il buonumore prese il sopravvento, e il cinghiale grugnì che era pronto il mangiare. Mentre intorno a noi sembrava avaer appena avuto luogo una rissa, ci augurammo buon appetito brindando con vino della sera prima, mentre il mattimatti si guardava attorno soddisfatto, appena riemerso da quell'esperienza onnipervasiva che è la degustazione del pompelmo per un mattimatti.
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